Ieri sera ero abbastanza triste mentre tornavo a casa. Non triste per qualche motivo, ma con quella malinconia addosso, quel "male di vivere" che arriva dopo i momenti di tensione e nei giorni di pioggia.
Alle 16 Milano era già avvolta nel buio. Alle 19 era già notte fonda.
Sul treno odore di umido, facce bagnate e sconsolate, e gente che saltellava tra un ombrello e l'altro per trovare posto a sedere.
Mi sono seduta, ho tirato fuori il mio quadernetto e mi sono messa a scrivere. Mentre fuori il paesaggio buio milanese lasciava piano piano spazio alle campagne della provincia e mentre lentamente la pioggia smetteva di cadere
Piove, come il ticchettio di un orologio automatico.
Piove.
Piove sulle strade, sugli impermeabili gialli dei bimbi che escono da scuola.
Piove sui capelli arruffati delle giovani mamme, sulle gambe delle ragazzine in gonna.
Piove sugli occhi di chi piange, nel cuore di chi è umile, e nelle mani dei poveri.
Piove sui volti sudati di chi ogni giorno corre per non arrivare in ritardo a lavoro.
Piove sulle macchine gialle, su quelle verdi e su quelle blu.
Piove sui vetri appannati, tra frenetici tergicristalli inceppati.
Piove sulle giacche degli impiegati e sulle ventiquattrore dei manager.
Piove sulle finestre di chi è lontano, sulle fotografie dei cartelloni pubblicitari.
sulle pagine dei giornali del clochard in stazione Garibaldi.
Piove sui motorini di chi non si arrende e sfida l'acqua.
Piove sui muri di carta delle baraccopoli, su tetti di case che non abiteremo mai.
Piove sui lampioni accesi di un buio pomeriggio.
Piove sui fiori inaspettati figli di un tiepido ottobre.
Piove nella mia mente, sulla mia penna, sulle parole non dette
che non si trattengono e scorrono
come piccole taglienti gocce di pioggia.
Ma alla fine, torna sempre il sole.
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